NO! PAGLIACCIO NON SON! DEL FIDEIUSSORE CONSUMATORE NEL CDC E NEL CCI

L’art 2 lett. e) del Dlgs 12 01 2019 n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 10 2017 n. 155) definisce: e) “«consumatore»: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.

Da una prima lettura della infelice costruzione sintattica della definizione, sembrerebbe potersi desumere che, per il codice della crisi d’impresa,  la persona fisica che abbia rilasciato garanzia a favore di terzi per affidamenti erogati ad un soggetto che svolge attività di impresa, non si possa qualificare consumatore.

Ne conseguirebbe che la persona fisica potrebbe accedere al procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt.  67  e segg. CCI) solo se tra i suoi debiti non vi siano debiti da garanzie rilasciate nell’interesse di imprenditori, ancorché il sovraindebitato garante sia estrano all’attività dell’ impresa (individuale o collettiva che sia)  nel cui interesse ha rilasciato la garanzia.

Si pensi al genitore che, mosso da mere ragioni filiali e per scopi che nulla hanno a che vedere con interessi imprenditoriali propri,  abbia rilasciato fideiussione per una società partecipata dal figlio o per l’attività di impresa del figlio, cui sia rimasto tuttavia sempre estraneo.

La soluzione adottata dal CCI, se così interpretata, appare distonica rispetto all’orientamento della Corte di Giustizia CE in materia di qualificazione del fideiussore quale consumatore.

La  Corte di Giustizia con la pronunzia  19 novembre 2015 (causa c – 74/15- Tarcau) ha stabilito, in buona sintesi, che, quanto alla disciplina applicabile alle garanzie rilasciate da una persona fisica, è in capo alle parti del contratto di garanzia (e non al contratto garantito) che deve valutarsi la qualità di consumatore e che il criterio di valutazione della qualità di consumatore è un criterio funzionale che deve avere riguardo ). Essa deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione.

Per tali ragioni, la Corte di Giustizia ha statuito che:

   
27      la nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, ha un carattere oggettivo (v. sentenza Costea, C110/14, EU:C:2015:538, punto 21). Essa deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione”  e che :
   
Occorre rispondere alle questioni poste dichiarando che gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società”.

Prima la giurisprudenza di merito, e poi la Suprema Corte di Cassazione, hanno preso atto, ed applicato, l’interpretazione della Corte di Giustizia (da ultimo: Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 742/20 del 16 01 2020 rel. Dolmetta).

Rimarrebbe dunque l’aporia del fideiussore, che è meritevole della tutela consumeristica,  allorché contrae obbligazioni da fideiussione nell’interesse di un’attività di impresa di terzi cui egli sia estraneo (obbligazioni  che possono essere esse stesse la causa del sovraindebitamento),   ma non  sembra  esser  più considerato tale, nel momento in cui chiede di accedere ad una procedura per la definizione della crisi da sovraindebitamento.

La relazione illustrativa al CCI così recita: “Art. 2 Definizioni omissis – – la definizione di consumatore di cui alla lettera e), ripresa dal codice del consumo, è stata estesa anche alla persona fisica che sia contemporaneamente socia di società di persone , a condizione che il suo sovraindebitamento riguardi esclusivamente i debiti strettamente personali”.

I redattori del CCI presumibilmente hanno tenuto a mente solo  la situazione del soggetto sovraindebitato socio di una società di persone, ed hanno inteso limitare la qualifica di consumatore ai soli debiti strettamente personali, e non a quelli rivenienti dalla posizione del sovraindebitato quale socio  di società di persone.

La fideiussione è un debito “strettamente personale” della persona fisica che lo ha assunto, ma è altrettanto vero  che una fideiussione può essere stata rilasciata dal soggetto che non sia socio della società di persone e che comunque sia estraneo all’attività di impresa garantita, sia essa esercitata in forma societaria o di impresa individuale.

Ma ciò che rileva è che la situazione di sovraindebitamento potrebbe riguardare proprio ed anche le obbligazioni da garanzia assunte dall’estraneo, il quale, seguendo questa tesi,  è consumatore per il CDC, ma non lo sarebbe più per il CCI!. 

E’ certamente più coerente, e aderente alla costruzione sintattica della norma, interpretare la locuzione dell’art. 2 lett. e) del CCI “per i debiti estranei a quelli sociali” come riferita alla sola seconda parte della norma, nel senso che:
·        la prima parte della norma qualifica come consumatore la persona fisica che ha agito per scopi estranei all’ attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta;
·        la seconda parte precisa che la persona fisica  rimane consumatore anche se  è socio di una società in nome collettivo (titolo V capo III), in accomandita semplice (titolo V, capo IV), in accomandita semplice (titolo V capo VI), ma in questo caso solo limitatamente ai debiti estranei a quelli sociali. Così interpretata la definizione di consumatore data dal CCI, il fideiussore che abbia rilasciato una fideiussione per attività di impresa esercitata da altri (sia in forma di impresa individuale che in forma di società di capitali o di persone) rimane consumatore e non diventa, nemmeno per il CCI, un imprenditore; e ciò anche per i debiti da fideiussione e non solo per i debiti diretti di natura consumeristica.

Si è certi che i Giudici sapranno colmare l’infelice formulazione del Codice della crisi, dando coerenza al sistema e ponendosi sulle tracce ora segnate anche dalla Suprema Corte con l’ordinanza  n. 742/2020.
avv. Armida Dal Bo
27 01 2020 Riproduzione Riservata    

IL CONIGLIO NEL CAPPELLO. L’ART. 2740 C.C. NON VALE PER LE SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

nota a Cassazione Civile Sez.3 N.21843 del 30 08 2019 (Presidente Dott. Travaglino Giacomo- Relatore Dottor Guizzi Stefano Gaime)

Il caso

Una società di cartolarizzazione si rende cessionaria  in blocco dei crediti vantati da una banca. Divenuta titolare del credito, la medesima ottiene decreto ingiuntivo  contro la debitrice principale e il di lei  garante, rispettivamente per la somma in linea capitale di Euro 137.763,99  ed Euro 98.126,81  oltre interessi  Gli ingiunti propongono opposizione, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo. Deducendo interessi ed altri oneri addebitati e non validamente pattuiti, ne chiedono  in via riconvenzionale la restituzione. Nelle more del giudizio, il credito viene ceduto in blocco ad altra cessionaria ex art. 1 e 4 L. 30 04 1999 n. 130, che interviene nel procedimento di opposizione. La Corte d’Appello, accogliendo l’ appello degli ingiunti  avverso la sentenza di primo grado, revoca  il decreto ingiuntivo e ne accoglie la domanda riconvenzionale, condannando la seconda cessionaria a restituire, sia alla debitrice principale sia al garante,  il saldo  del conto corrente, da quel che si comprende divenuto attivo per effetto del ricalcolo, pari ad Euro 56.975,56 oltre agli interessi dal 1.7.1987. La cessionaria propone ricorso per Cassazione.

La soluzione della Suprema Corte

Con la sentenza in commento (che si qualifica priva di precedenti specifici: § 7.1.1), la Suprema Corte riforma interamente  quella della Corte d’Appello, e decidendo nel merito, respinge  l’opposizione a decreto ingiuntivo e, “revocato lo stesso condanna gli opponenti a pagare le somme originariamente richieste in ingiunzione (Euro 137.763,99 ed Euro 98.126,81 oltre agli interessi dal decreto ingiuntivo al saldo”. 

La Suprema Corte costruisce l’intera motivazione sulla funzione delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti disciplinate dalla L. 130 1999 e sul fatto che i crediti ceduti alle cd. società veicolo appositamente costituite è un patrimonio separato ad ogni effetto sia rispetto a quello della società veicolo sia  rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Tale patrimonio, spiega la Suprema Corte, è infatti destinato al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e per il pagamento dei costi dell’operazione.

Scrive la Corte testualmente che “In un simile quadro consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione al cessionario controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’esser noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente) e addirittura consentire, come nella specie la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, in via esclusiva il valore del medesimo”.    

La conseguenza di tale premessa è che:

– la cessionaria non è legittimata passiva nemmeno (par di comprendere)  a domande di accertamento della nullità di pattuizioni contrattuali che comportino, quale conseguenza,  il ricalcolo del credito di cui si è resa cessionaria;

 – l’art. 4 L. 130 1999,  laddove ammette nei confronti della cessionaria la compensazione tra i crediti del ceduto sorti anteriormente alla cessione e il credito ceduto vantato nei suoi confronti riguarda solo la fattispecie di compensazione legale tra crediti egualmente liquidi ed esigibili.

LE UMILI NOTE

La decisione, assunta in nome delle necessità di tutelare il patrimonio separato delle società di cartolarizzazione, disconosce qualsiasi legittimazione passiva in senso sostanziale delle società di cartolarizzazione,  anche rispetto ad azioni o eccezioni volte a rideterminare il saldo del rapporto da cui origina il credito ceduto.

Secondo la Suprema Corte, questa finalità di tutela del patrimonio separato e dei risparmiatori acquirenti dei titoli rappresentativi dei crediti ceduti non potrebbe attuarsi se esse vedessero ridotto l’ammontare del credito ceduto in quanto ridedeterminato per effetto di ragioni di nullità delle pattuizioni contrattuali da cui è sorto… perché si tratterebbe di “…vicende relative al rapporto con esso intercorso (id est con il cedente) e il cui importo, lungi dall’essere noto alla società veicolo, deve essere accertato giudizialmente” (testualmente al punto 7.1.4.1 della parte motiva).

Tranne a voler sostenere che le società di cartolarizzazione, avendo un patrimonio separato costituito dai crediti ceduti, siano esonerate dall’obbligo di rispondere delle proprie obbligazioni ex art. 2740 c.c., la questione non si pone sul piano della legittimazione passiva in senso sostanziale, quanto piuttosto nell’individuazione di quale sia il patrimonio che in sede esecutiva sia chiamato a rispondere di tali obbligazioni, se quello separato o il rimanente patrimonio del soggetto legittimato passivo.

L’argomento prova troppo anche  per  molteplici ragioni:

  • certamente le banche cedenti i crediti e le società di cartolarizzazione non sono operatori sprovveduti del mercato.
  • Le società di cartolarizzazione non acquistano i crediti “alla cieca”, bensì sono tenute (se non altro a tutela proprio dei patrimonio separato che essi andranno a comporre) ad una specifica due diligence legale e contabile dei crediti che acquistano e dei rischi che derivano da azioni di nullità dei rapporti dai cui sorgono; il “prezzo” della cessione viene correntemente determinato anche alla luce di tali rischi.
  • I contratti di cessione di crediti in blocco contengono una specifica disciplina nei rapporti tra cedente e cessionaria quale conseguenza  di azioni dei debitori ceduti inerenti le nullità del rapporto sottostante e le azioni di rivalsa della cessionaria verso la cedente.
  • Nessuna norma di legge consente per le società di cartolarizzazione di non rispondere dei propri debiti presenti e futuri, come ogni altro debitore nel nostro ordinamento, ex art. 2740 c.c. La L. 130 1999,infatti, stabilisce solo che i crediti ceduti costituiscono patrimonio separato, ma non che queste società non debbano avere alcun patrimonio oltre a quello costituito dai crediti ceduti e che siano in definitiva sottratte alla responsabilità patrimoniale generica cui sono soggetti .
  • Il fatto che operino nel nostro sistema economico  e finanziario decine di società di cartolarizzazione costituite con capitale sociale minimo di Euro 10.000,00= è una giusta ragione di preoccupazione per la tutela dei risparmiatori che acquistano i titoli emessi a fronte del patrimonio separato. E’ ben certo tuttavia che, qualora il patrimonio separato fosse incapiente, esse sarebbero chiamate a rispondere con il patrimonio non separato alla stregua dell’art. 2740 c.c.
  • Che investire  in cartolarizzazioni, o le esposizioni verso di esse,  comporti  che l’investitore si trovi esposto al rischio di credito dei prestiti o delle esposizioni sottostanti è insito nell’operazione di acquisto dei titoli che da tali operazioni derivano. Tale rischio è peraltro espressamente previsto dal  considerando n. 9 del Regolamento  12/12/2017 – N. 2402 in vigore dal 1 1 2019 che, proprio a tal fine, ora disciplina in modo analitico i doveri di due diligence degli investitori istituzionali (art.5) e di obblighi di trasparenza dei cedenti (art.7  del Regolamento).
  • L’emissione dei titoli  è soggetta, qualora siano destinati a investitori  non professionali, ad obbligo di prospetto informativo, alla valutazione del merito del credito da parte di soggetti terzi, oltre che alla disciplina di una specifica regolamentazione emanata da Consob e prima ancora dal TUF.

Ed ancora, ritornando alla lettera della L. 130 1999:

  • le azioni dei soggetti diversi dai portatori dei titoli non ammesse dall’art. 3 della L. 130 1999 riguardano il patrimonio separato costituito dai  crediti ceduti, ma non il  residuo patrimonio delle società di cartolarizzazione. Il (diverso) problema è semmai che il debitore ceduto non trova tutela in questo patrimonio perché esse sono solitamente costituite con capitali minimi irrisori;
  • l’unica azione per la quale il cessionario non sembra  titolare di legittimazione passiva in senso sostanziale, è la domanda riconvenzionale di pagamento del maggior credito derivante dal saldo attivo del rapporto da cui origina il credito ceduto.  Ma ciò non perché il suo patrimonio sia intoccabile, bensì, a monte, perché la cessione ex L. 130 1999 non consente la cessione del rapporto ma solo del credito ed oggetto di cartolarizzazione può essere il credito e non il rapporto bancario. L’ 58 TUB, infatti, limita la possibilità di cedere rapporti  giuridici in blocco alle sole banche,  per ovvie ragioni di non consentire facili elusioni al principio di riserva dell’attività bancaria ai soggetti autorizzati.

Viceversa, e quanto alla domanda di accertamento e rideterminazione del saldo debitore del rapporto da cui origina il credito ceduto, onde veder compensate le poste attive e le poste passive, nessuna norma sembra escludere la legittimazione passiva della cessionaria.

La lettera dell’art.4  comma 2 seconda part eL. 130 1999 dispone che “.. in deroga ad ogni altra disposizione, non  è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data” (id est la data di pubblicazione della cessione sulla gazzetta ufficiale .

Né il tenore letterale della norma né la sua ratio consentono di leggerla nel senso che la compensazione sia ammissibile solo per i contro crediti del debitore ceduto liquidi ed esigibili sorti anteriormente alla cessione.

Se la norma si riferisse alla compensazione tra il credito ceduto ed un controcredito certo liquido ed esigibile, non avrebbe senso logico, perché la compensazione si sarebbe già verificata di diritto anteriormente alla cessione e il credito ceduto sarebbe già decurtato del controcredito liquido ed esigibile.

La compensazione tra poste attive e passive di un medesimo rapporto non costituisce peraltro compensazione in senso tecnico, ma in senso a tecnico, sottratta alla disciplina della compensazione, trattandosi di un mero accertamento di dare avere con elisione automatica di rispettivi crediti fino alla concorrenza Cassazione civile sez. II, 19/02/2019, n.4825

La norma testualmente si riferisce a “crediti sorti posteriormente” (alla pubblicazione o dalla data certa di pagamento anche in parte del corrispettivo) della cessione, e devono quindi intendersi ammessi alla compensazione i crediti i cui fatti costitutivi siano  anteriori alla cessione, ancorché la loro quantificazione avvenga successivamente in sede giudiziale o stragiudiziale.

Nel far salva la compensazione dei crediti anteriori, escludendo invece quella dei crediti sorti posteriormente alla pubblicazione della cessione ex L 130 1999 (o al pagamento anche parziale del prezzo dei medesimi), il Legislatore della norma speciale ha voluto evidentemente adeguare la disciplina dell’art. 1248  c.2. alla particolare tipologia di cessione dei crediti cartolarizzati  che, a differenza di quella codicistica,  non necessita della notifica al debitore ceduto.

La conclusione  è confermata anche dal fatto che i crediti non compensabili sono quelli sorti posteriormente alla pubblicazione o al pagamento del prezzo anche parziale, fatto quest’ultimo non conoscibile e non conosciuto al debitore ceduto.

L’auspicio non può che essere quello di nuove occasioni di  ripensamento di  una decisione che appare piuttosto  disallineata sia dalla ratio della legge speciale, sia dai principi generali posti a tutela del terzo contraente che subisce gli effetti di una modifica soggettiva del contratto.

Avv. Armida Dal Bo

Riproduzione riservata

Fondamentale decisione della Corte di Cassazione in materia di sovraindebitamento. Cass. ord. 19 dicembre 2019 n.34105

Sovraindebitamento e compensi dell’OCC. Con ordinanza n. 34105 del 19.12.2019 – Presidente Didone – Relatore Vella – la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto: “In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3 del 2012, il giudice non può, in assenza di una specifica norma che lo consenta, imporre al debitore, a pena di inammissibilità, il deposito preventivo di una somma per le spese che si presumono necessarie ai fini della procedura, potendo semmai disporre acconti sul compenso finale spettante all’organismo di composizione della crisi, ai sensi del D.M. 24 settembre 2014, n. 202, art. 15 tenendo conto delle circostanze concrete e, in particolare, della consistenza dei beni e dei redditi del debitore in vista della fattibilità della proposta di accordo o del piano del consumatore, anche ai sensi della L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 2”. La decisione è stata assunta ex art. 363 c.3 cpc,